A volte, la democrazia può assumere contorni grotteschi. Questo vale a maggior ragione nell’era dei social e della spettacolarizzazione estrema a cui si è ridotta la campagna elettorale in quasi tutto il Mondo. Ciò che dovrebbe essere una cosa seria dalla quale dipende il destino di ogni popolazione, si sta trasformando in un ridicolo e inquietante teatrino, in una gara a chi la spara più grossa, alimentata da un sistema d’informazione sempre più alla ricerca del titolo e sempre meno interessata a fornire contenuti. Esempio perfetto di questa triste tendenza è la nuova sfida che vedrà protagonisti il Presidente USA uscente Donald Trump e il candidato rivale, Joe Biden. Qual è questa sfida? Sottoporsi ad un “test cognitivo”. Infatti, Joe Biden ha 77 anni, e se venisse eletto sarebbe il Presidente più anziano della storia americana. A una prima analisi, potrebbe sembrare sensato che un uomo di quell’età dimostri la sua lucidità prima di poter ricoprire un ruolo così importante. Ciò che però rende il tutto, come già detto, grottesco, è che chi lo ha sfidato è un uomo che di anni ne ha soltanto tre in meno e nonostante ciò inonda le tv con spot televisivi in cui afferma che il suo rivale sarebbe “troppo vecchio”. Trump ha più volte evidenziato durante la campagna elettorale alcune ripetute gaffes di Biden, chiamato dal Presidente “Sleepy Joe”.
Tuttavia, le gaffes di quest’ultimo sono una sua caratteristica ben nota, assolutamente non nuova e che quindi da sola non basta né a sorprendere né a preoccupare, per quanto effettivamente a volte possa far scappare qualche risata. Se poi si pensa al fatto che un soggetto illustre come Sergio Mattarella di anni ne ha 78, si capisce ulteriormente la sterilità della polemica (anche perché essa non è portata su una prospettiva sistemica di ringiovanimento della politica, ma sui due singoli candidati). L’accusa del tycoon in un tweet è stata chiara: “Non riuscirebbe a passare il test che io ho superato a pieni voti. Dovrebbe farlo” (il test in questione è il Montreal Cognitive Assessment). Altrettanto eloquente la risposta del democratico: “Vengo continuamente sottoposto a test. Tutto quello che dovete fare è osservarmi. Non vedrei l’ora di mettere a confronto le mie capacità cognitive con quelle dell’uomo contro il quale sto correndo”.
La questione qui, sia chiaro, non è chi abbia sfidato chi. In questo caso è capitato che la “challenge” sia stata lanciata da Trump, ma, come già detto, le campagne elettorali stanno seguendo questa strada un po’ ovunque, con candidati di ogni parte politica. È naturale che le condizioni di salute di individui che occupano posti di responsabilità debbano essere costantemente monitorate. È invece assurdo che se ne faccia uno show. Davvero gli elettori non hanno la capacità e il senso critico per rendersi conto se un candidato non è nelle condizioni psicofisiche per correre alla Casa Bianca? Davvero è necessario distrarre il pubblico da temi socioeconomici impellenti per spettacolarizzare un test cognitivo che, probabilmente, sarebbe stato ugualmente effettuato periodicamente dai moltissimi medici che inevitabilmente seguiranno quotidianamente il prossimo Presidente in carica? Pensare che l’elettorato possa aver raggiunto un livello così basso mette francamente i brividi.