Miguel Abensour, o la dialettica dell’emancipazione
La dialettica dell’emancipazione è definibile come il rovesciamento della forma del tous uns – l’unità nella diversità – in quella del tous Un – l’unità nell’uniformità. La filosofia politica critica di Abensour si pone come obiettivo di indagare i modi e le forme in grado di trasformare il tous Un in una nuova totalità capace di accogliere e valorizzare la libertà, passando cioè dal tous Un al tous uns.
Fedele a La Boétie e Lefort, Abensour non si propone la ricerca del miglior regime o dell’“ottimo Stato”, ma intende il tous uns come forma dello stare insieme degli uomini o, meglio, come un nuovo lien humain.
Un legame che è umano e nel contempo politico, poiché solo nel rapporto con gli altri, nell’infra, nello spazio tra gli uomini è possibile la libertà, in una relazione in grado di preservare l’unicità degli individui – gli uns al plurale – senza annullarli in una unità omogenea.
I due poli attraverso cui si passa dal tous Un al tous Uns, secondo Abensour, sono l’utopia e la democrazia: nel loro incrociarsi si disvela il luogo-non-luogo della libertà.
Gli scritti dedicati ai “luoghi delle utopie” coprono quasi interamente il suo percorso intellettuale, dedicata alle forme delle utopie socialiste-comuniste.
Il carattere essenziale della teoria di Miguel Abensour consiste nella capacità e nella volontà di distinguere e separare le componenti dell’utopia, attento a far emergere le molteplici e differenti tradizioni.
Inoltre, lungi dal ridurre l’utopia, la concepisce come un elemento fondante della dimensione umana del desiderio, arrivando ad affermare, parafrasando Aristotele, che “l’uomo è un animale utopico”.
Nel suo ripensamento dell’utopia egli affronta criticamente due diverse prospettive: la tradizione marxista, che legge l’opera di Marx come la fine e il compimento dell’utopia, e quella conservatrice e liberale, che esprime un forte sospetto nei confronti dell’utopia insistendo sulla sua connessione, al limite della corresponsabilità, con la nascita dei totalitarismi.
L’impulso che guida Abensour nel riesaminare la questione della critica dell’utopia e del rapporto fra quest’ultima e il pensiero di Marx scaturisce da un’affermazione di Adorno: contro le certezze dell’ortodossia marxista, nella Dialettica negativa, Adorno afferma che “Marx e Engels erano nemici dell’utopia nell’interesse stesso della sua realizzazione”.
Alla ricerca di tracce nascoste o di parole inascoltate in grado di restituire un’immagine della teoria marxiana meno ortodossa e lineare, fin dagli scritti giovanili, Abensour cerca di far emergere un autentico interesse marxiano per il politico, che, al pari della critica all’economia politica, riaffiora sotto la spinta dell’esperienza della Comune di Parigi. Marx ha ripreso l’utopia e la proietta nel movimento reale del comunismo, principio energetico del prossimo futuro. Nell’autonomia del politico di Marx, Abensour vede anche l’autonomia dell’utopico. Engels in “L’evoluzione del socialismo dall’utopia alla scienza”, riprendendo alcune considerazioni già presenti nel “Manifesto del partito comunista”, concepisce l’opposizione tra utopia e scienza in senso progressivo, intendendo il socialismo utopico come semplice fase preparatoria al socialismo scientifico, vera teoria sociale di grado superiore: l’utopia in questo modo non è più considerata in quanto valore in sé ma solo come forma propedeutico la quale, dopo l’avvento della teoria di Marx, diverrebbe perfino reazionaria.
All’opposizione tra utopia e scienza, nata, in ambito positivista e non socialista, Abensour propone di sostituirne un’altra, formulata da Marx nella sua Critica della filosofia del diritto di Hegel. La vera distinzione sulla quale articolare la critica all’utopia sarebbe quella tra rivoluzione parziale e rivoluzione totale: “l’obiettivo della critica marxiana non è di censurare l’eccesso dell’utopia per assegnarle dei limiti, in nome del realismo, ma, al contrario, di svelarne la mancanza”. L’utopia è quindi da criticare in quanto non abbastanza radicale, poiché, anche se immagina una società diversa, non è in grado di “sconvolgere le radici della società esistente”. In tal modo muta anche il punto di vista da cui intraprendere una critica dei limiti dell’utopia, non più dalla prospettiva del socialismo scientifico ma da quella del comunismo critico.
Abensour individua due punti centrali in grado di mettere in relazione Marx e la critica dell’utopia:
- Il primo punto di concentra sul presupposto secondo cui nell’ assenza nella teoria marxiana di una descrizione della società comunista, le sole due istanze da considerare sono la critica dell’utopia e l’analisi del capitalismo. Nella critica delle utopie, il marxismo, “purgato da ogni orientamento verso il futuro, rappresenterebbe pienamente la fine dell’utopia poiché non offrirebbe più dei termini di comparazione con essa”.
- L’altro punto, verso la quale propende Abensour, invece di focalizzarsi sulla teoria di Marx aggiunge, alla critica delle utopie e all’analisi del capitalismo, la previsione del comunismo. Secondo questa prospettiva, lungi dal dichiarare la fine delle utopie in favore di un’analisi scientifica della società, Marx avrebbe operato un vero e proprio “salvataggio dell’utopia”, non interrompendo la spinta verso il futuro propria delle utopie ma, all’interno della previsione del comunismo, l’avrebbe salvata “reinserendola in una teoria dialettica, espressione dell’insieme del movimento che tende all’eterogeneità radicale del comunismo”.
La lettura di Abensour costituisce un primo passo per considerare l’esistenza di una storia dell’utopia dopo Marx, che “contesta radicalmente la pretesa della teoria rivoluzionaria di Marx e Engels di essere il compimento, la forma superiore del socialismo, e quindi il tribunale sovrano dell’emancipazione umana”.
Questo comporta il confronto con quelle tradizioni interpretative che rifiutano l’utopia in base al sospetto di una sua intima complicità con il terrore totalitario e arriva a identificarlo come l’ideologia stessa del totalitarismo. Rispetto a ciò, Abensour considera la strenua opposizione che ogni regime totalitario ha messo in atto contro ogni forma di utopia: “storicamente, si potrebbe mostrare senza difficoltà che la dominazione totalitaria, quella bolscevica per esempio, è stata edificata combattendo e reprimendo le molte tendenze utopiche che animavano la rivoluzione sovietica”.
Se l’utopia è connessa all’emancipazione, essa non può venire identificata con il totalitarismo, esempio estremo di dominio. L’ostilità che Abensour riscontra nei confronti dell’utopia, si sarebbe sviluppata a partire dalla reazione nei confronti della rivoluzione del 1848 fino a giungere al dibattito sull’anti-totalitarismo del dopoguerra, passando per pensatori liberali come Friedrich von Hayek e Karl Popper.
Se la continuità tra utopia e totalitarismo viene rifiutata e criticata da Abensour, tuttavia egli ne evidenzia un possibile punto di contatto. Sottolineando la pluralità delle tradizioni utopiche, Abensour ne svela al contempo la costitutiva ambiguità: oltre all’incontestabile spinta all’alterità e all’emancipazione, nell’utopia è presente anche un elemento mitico, connesso all’idea della società riconciliata. Concepire l’utopia come uno dei poli per pensare l’emancipazione umana e il legame in grado di accogliere la libertà, presuppone una lettura della storia della tradizione utopica capace di individuare e separare il carattere mitico dell’utopia da quello emancipativo.
Il rifiuto di ritenere la teoria marxiana come semplice fine dell’utopia e il rigetto dell’identificazione tra utopia e totalitarismo permettono ad Abensour di proporre una histoire de l’utopie meno lineare, in grado di dar conto della complessità delle tradizioni utopiche, come “momenti” di una genesi concettuale strettamente connessi alla storia dei movimenti e alle loro lotte e rivendicazioni.
(Continua)