I Blackfield ripartono da “V”, quasi un simbolo di rinascita, considerata la volontà espressa da Steven Wilson quattro anni orsono di considerare chiusa la parentesi artistica di questo fortunato progetto.Sovente le cose cambiano, e – meno male – non sempre per il peggio.Questo prodotto ne è la tangibile dimostrazione, soprattutto se comparato con gli ultimi due lavori, che avevano suscitato più di qualche perplessità.Il quinto capitolo della loro storia è stato realizzato in varie sale d’incisione qua e là per il mondo e vede la complicità di Alan Parsons nelle vesti di produttore di alcuni brani.I Blackfield nascono nel 2004 dalla riuscita collaborazione di due artisti come Steven Wilson e Aviv Geffen.Il primo lo conosciamo tutti, indafaratissimo genio britannico dell’era musicale digitale, senza dubbio tra i più interessanti giovani musicisti della scena rock progressive e non solo.Poliedrico strumentista, raffinatissimo compositore, eclettico e innovatore nel solco della tradizione.
Cresciuto a pane e Pink Floyd, dall’età di otto anni allorquando ricevette dai suoi, come regalo di compleanno, The Dark Side of the Moon.Quella floydiana, una commistione di rarefatte atmosfere psichedeliche e contenuti rock-prog, è leitmotiv ricorrente delle trame musicali dei Porcupine Tree, altro bel progetto di Wilson.Suo alter-ego nell’universo Blackfield, Aviv Geffen, musicista rock israeliano, cantante, produttore, tastierista e chitarrista.Figlio dello scrittore e poeta Yehonatan Geffen, fratello di Shira Geffen, è figura molto nota tra le nuove generazioni del suo Paese.Conosciuta è la sua simpatia per gli ideali confacenti alla sinistra israeliana, ben riverberati nella sua vena compositiva che si nutre di temi universali quali l’amore, la pace, la morte, e il categorico rifiuto della guerra.La collaborazione con Steven inizia nel 2001 su richiesta di Aviv, estimatore dei Porcupine Tree. Musicalmente i due si prendono e l’estro che ne deriva li porterà, tre anni dopo, a generare la band, celebrando l’uscita del loro primo album omonimo.
Un percorso in Musica che esplora le pieghe dell’anima, fortemente intimo, racchiuso in melodie delicate e struggenti, in un tratteggio di intarsi compositivi e testuali tanto nostalgici quanto di grande impatto emotivo.In “V” la presenza di Wilson è molto più densa di significato rispetto alle ultime produzioni, ciò arreca un apporto di primaria importanza nella stesura dei brani.Vi sono tracce nelle quali la sua creatività pulsa in ogni nota, come ad esempio “Family Man” e “How Was Your Ride” che seguono “A Drop In The Ocean”, apertura del disco in chiave orchestrale.Frammenti emozionali, che molto sanno dei primi grandi Porcupine, combinati con la ricerca di Steven/solista, ove è sempre ben marcata una precipua componente malinconica.
Tutta la produzione risulta armoniosamente strutturata in un compendio corale nel quale la ruvida voce dal marcato accento mediorientale di Geffen dà l’indispensabile contributo, stagliandosi con vigore in brani quali “We’ll Never Be Apart” oppure nell’esecuzione al piano di due pezzi fortemente evocativi: l’acustica “Sorrys” e “October” interpretate da Steven.Così scivola “V”, di traccia in traccia, fino alla conclusione con “From 44 To 48”, ultimo gioiello di fattura tipicamente wilsoniana, che lascia calare il sipario su un’Opera, immaginifica continuazione in note dei primi due lavori.Una bella sensazione che si alimenta ad ogni successivo ascolto, com’è giusto che sia.I Blackfield sono un progetto solidale tra due artisti con stile e retroterra culturale diversi, che trovano la perfetta armonia allorquando riescono a fondersi organicamente, dando vita a un risultato pienamente soddisfacente. Esattamente come in questo caso.