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VARANASI

Ore 6.00.Passeggiando lungo i ghat, tutto è calmo e tranquillo, quasi immobile, come se la vita girasse in slow motion. Alle prime luci dell’alba, uno spicchio di sole comincia a sfumare di rosa il sacro Gange, mentre le salmodie mattutine rompono il silenzio avvolgente.

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A poche centinaia di metri, sulla secca del fiume, un gregge di bufali passeggia indisturbato, pronto a godersi il bagno mattutino. L’aria è carica di una potente energia che mi prende le gambe. Narici violentate da zaffate improvvise d’incenso, urina, merda e carne umana affumicata, ridotta in cenere senza sosta da migliaia di anni. Immagini di un altro universo, dove la realtà della morte mi viene schiaffata in faccia senza timore.

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Campane risuonano all’impazzata mentre i santoni nelle loro tuniche arancioni restano imperturbabili di fronte a questo matto spettacolo di vita e di morte. Io invece vengo inondato da tutto. Uomini che hanno rinunciato a tutto per cercare la Verità, che non hanno nulla eppure dai loro occhi sembrano possedere l’universo intero.

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La sporcizia, il fetore, la miseria di mendicanti più malconci di reduci di guerra, reduci di vite passate. I chillum e l’hashish, il cui fumo denso fuoriesce dalla bocca dei sadhu e dei loro seguaci che li circondano nel tentativo di assorbirne un po’ di saggezza. I cani randagi che saccheggiano cumuli d’immondizia, il loro pelo martoriato e divorato dalle pulci e probabilmente da altre malattie, chi lo sa, chi se ne frega.

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La natura selvaggia della città selezionerà solo i più forti come se Darwin le stesse sussurrando all’orecchio. Nella putrida e contaminata acqua sacra la gente si bagna, prega gli dèi e si purifica l’anima. Alcune donne strofinano ammassi di vestiti stracciati per poi stenderli ad asciugare sulle scalinate del ghat, rendendolo un arcobaleno di stoffe.

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Spettatore di un mondo diverso, affascinante, a tratti incomprensibile, misterioso, mistico, spesso surreale, a mente e bocca aperta ne assaporo il succo, fino all’ultima goccia.

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27 Febbraio 2016