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VERITÁ E GIUSTIZIA PER GIULIO REGENI

Al quinto anniversario dalla scomparsa del giovane ricercatore friulano Giulio Regeni, la verità non è più un miraggio, ma ora più che mai si fa pressante la necessità che a tale verità vengano fatte corrispondere concrete responsabilità. A tal proposito abbiamo ritenuto opportuno redigere una ricostruzione temporale delle indagini, le inchieste e le vicende giudiziarie successive al ritrovamento del corpo di Giulio lungo la superstrada Cairo – Alessandria d’Egitto il 3 febbraio 2016, per trarne un resoconto. Gli importanti sviluppi intervenuti fino ad oggi fanno luce non solo sulle dinamiche e sulle responsabilità della commissione di un reato tanto efferato, inciso con una crudeltà disarmante sul feretro martoriato di Giulio, ma anche su un sistema, quello del regime di Al-Sisi, che in dispregio dei diritti umani inalienabili e delle più basilari norme di diritto internazionale e cogente, adotta come modus operandi quello di disporre dei propri servizi segreti non come strumento di garanzia della sicurezza nazionale, ma come organo esecutivo di una politica di repressione dell’opposizione che sta mettendo in atto un silenzioso pogrom, producendo nell’indifferenza comune i nuovi desaparecidos contemporanei e sta mettendo al bando lo stato di diritto in un paese che sul piano economico si palesa come fondamentale partner per l’occidente.

cms_20759/foto_1.jpgRegeni, dottorando presso il Dipartimento di Development Studies dell’Università di Cambridge, si era recato in Egitto per condurre il periodo di ricerca sul campo, occupandosi di un progetto sul tema dei sindacati egiziani, da cui la peculiarità della data del rapimento, il 25 gennaio 2016, in ricorrenza del quinto anniversario delle proteste di Piazza Tahrir. Sul posto, Regeni, aveva individuato nella figura di Moahmmed Abdallah, portavoce del sindacato degli ambulanti e informatore della polizia, un elemento chiave della sua ricerca, dopo esservi stato condotto dai contatti fornitigli dalla docente tutor Maha Abdel Rahman. Le indagini in seguito riveleranno piuttosto che Abdallah non ha costituito altro che il cacciatore di taglie che ha venduto Giulio ai servizi segreti sotto la veste di spia, come ripicca per un mancato finanziamento al sindacato, il quale si era prospettato a titolo ipotetico in uno dei loro incontri. Da subito la procura egiziana non si è dimostrata disponibile ad una reale forma di collaborazione attiva nella ricerca della verità, una verità probabilmente troppo scomoda da poter essere rivelata alla comunità internazionale. I depistaggi che da questo momento in poi hanno marcato l’operato delle autorità egiziane hanno costituito senz’altro un perpetrarsi di quella stessa violenza che aveva già preso visibilmente forma sul corpo di Giulio. E questo spiega l’espressione più che legittima utilizzata dai genitori di Regeni: “tutto il male del mondo”.

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Già nel marzo 2016 infatti era stata adottata una copertura per cui si dichiarava che il caso dell’omicidio di Regeni fosse riconducibile a criminali locali, in quanto i documenti di Giulio erano stati rinvenuti nell’abitazione dei 5 criminali deceduti in un conflitto a fuoco con la polizia del Cairo; versione a cui i procuratori italiani non hanno creduto per evidente infondatezza. Il 30 dicembre 2020, la Procura Generale egiziana, ancora inamovibile nel suo ruolo di garante degli apparati di sicurezza cairoti, trasmette un comunicato che costituisce un ulteriore sfregio alla memoria di Giulio, ribadendo la propria riserva sul quadro probatorio a suo dire costituito da “prove insufficienti per sostenere l’accusa in giudizio” a capo dei 4 membri delle forze di sicurezza: il generale Sabir Tariq, i colonnelli Usham Helmi e Athar Kamel Mohamed Ibrahim, e Magdi Ibrahim Abdelal Sharif. A questo veniva aggiunto dalla Procura egiziana, barricata dietro la versione fornita dal procuratore generale Hamada Al Sawi, dei 5 criminali deceduti nel conflitto a fuoco identificati come i responsabili dell’accaduto, che: “per il momento non c’è alcuna ragione per intraprendere procedure penali circa l’uccisione, il sequestro e la tortura della vittima Giulio Regeni, in quanto il responsabile resta sconosciuto“.

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Tutto ciò dopo che il 10 dicembre la Procura di Roma aveva già chiuso le indagini e disposto l’avvio del processo per i reati di sequestro di persona pluriaggravato, concorso in omicidio aggravato e lesioni personali aggravate. Naturalmente il caso Regeni si inserisce in un complicato quadro di relazioni diplomatiche internazionali, all’interno del quale il governo italiano non ha sempre dimostrato fermezza nel denunciare la scellerata condotta delle istituzioni egiziane, per evitare il deterioramento dei rapporti economici nei confronti di un paese che presenta importanti sbocchi. La mobilitazione dei genitori di Giulio li ha infatti condotti a sporgere denuncia contro il governo italiano per violazione della legge 185/90 circa “le norme di controllo dell’esportazione, importazione e transito dei materiali di armamento”, che vieta l’esportazione di armi verso paesi che si sono macchiati di violazioni gravi di diritti umani. Al governo sarebbe stato anche richiesto di costituirsi a parte civile nel processo a carico degli imputati egiziani e di richiamare l’ambasciatore dal Cairo, come messaggio forte di disapprovazione. Gli ultimi sviluppi arrivano dall’Europa; in occasione della riunione del Consiglio dei Ministri degli Esteri del 25 gennaio, infatti, Luigi Di Maio, ha portato il caso Regeni alla discussione sul piano comunitario.

cms_20759/4.jpgL’Alto rappresentante dell’Ue, Josep Borrell, ha riconosciuto il caso Regeni come una questione grave non solo per l’Italia ma per tutta l’Europa, esprimendo solidarietà alla famiglia e al nostro paese, e tornando a sollecitare l’Egitto alla cooperazione. Le ricostruzioni riportate nel docufilm “9 giorni al Cairo”, svelano che tra le ultime ricerche che il giovane ricercatore ha condotto sul suo portatile prima di lasciare la sua abitazione del Cairo, il 25 gennaio 2016, compare un pezzo della famosa band inglese, i Coldplay, “Rush of Blood”, la quale da una parte si presenta come una sorta di premonizione, ma dall’altra rivela un aspetto di Giulio che è stato un po’ omesso nella sua immagine disumanizzata, resa emblema della lotta per la verità e la giustizia. È l’immagine di un Giulio riconducibile ai tantissimi giovani studenti e ricercatori all’estero, che vivono ognuno a suo modo i timori e le difficoltà proprie di ciascuna esperienza, e che alla stregua di quanto accaduto devono poter continuare a sentirsi protetti. Ciò che non si deve mai dimenticare però, è che dietro ad ogni storia, ad ogni lotta, ad ogni emblema, rimane una persona, in questo caso rimane Giulio, e il nostro futuro sarà la sua eredità. È con profondo cordoglio quindi che dovremmo tutti combattere affinché questo futuro renda giustizia a lui e a tutti gli innocenti, vittime di un sistema corrotto.

Data:

26 Gennaio 2021