“Papà ma allora tu sei un assassino?”
Vito probabilmente non aveva mai visto il suo lavoro da questa prospettiva: era ingegnere e dirigente della Tecnovar, l’azienda di famiglia, che tra le altre cose produceva mine antiuomo.
Lui progettava e organizzava la produzione, era molto bravo nel suo lavoro, aveva ideato un modello di mina drammaticamente efficace e molto richiesto. Vito non pensava alle conseguenze delle sue azioni, non pensava al prodotto finito, e al dolore immane che avrebbe procurato.
La domanda di suo figlio, con il candore dell’infanzia, fu per lui come una scossa.
Non l’unica.
Nello stesso periodo, erano i primi anni Novanta, era partita la campagna internazionale per il bando delle mine antiuomo, e gli attivisti gli mandarono in fabbrica decine e decine di scatole di scarpe. Ma dentro non c’era un paio di scarpe, ce n’era una sola.
Il messaggio era forte e chiaro.
Vito aveva capito di essere un fabbricante di morte. E non poteva andare avanti così.
Così decise che era il momento di fermarsi e cambiare vita. Radicalmente: chiudere la fabbrica, rinunciare al lusso e al benessere, mettersi in discussione.
Inizia a lavorare per Intersos, un’organizzazione non governativa umanitaria, come sminatore. La sua esperienza era preziosa in zone di guerra devastate dalle mine, come il Kosovo, la Bosnia, la Serbia.
Per venti anni Vito ha cercato di restituire alla popolazione campi, strade e terreni che lui stesso aveva contribuito a rendere trappole mortali.
Eppure, nonostante gli sforzi e la conversione della seconda parte della sua vita, Vito, che ora è anziano e non può più portare avanti la sua missione, sa benissimo che non potrà mai avere il perdono delle vittime, di cui è impossibile anche solo immaginare il numero.
“C’è gente che è nata buona, io non lo ero”, dichiara con amarezza. Per questo si sente fortunato ad aver avuto la possibilità di riconoscere il male che faceva, grazie all’indignazione degli altri: è importantissimo non smettere mai di indignarsi, e cercare di far aprire gli occhi a chi ancora non lo ha fatto.
“Mi sono messo in gioco, perché se vuoi la pace devi preparare la pace”.
(La storia di Vito Alfieri Fontana è raccontata nel documentario di Mattia Epifani, Il successore, 2015, e nel libro di Andrea Franzoso, “Viva la costituzione”, De Agostini, 2020)