La “sfida” posta dalle donne iraniane nei confronti delle istituzioni, attraverso il mancato uso dell’hijab, rende necessario l’inasprimento delle misure di repressione da parte della polizia. È stato direttamente il capo della Polizia, Abasali Mohammadian, ad annunciare l’avvio dell’operazione “Nour”, con la quale “le donne senza velo che scendono in strada saranno punite”. Non che prima non fossero soggette a violente sanzioni, finanche l’arresto, ma in questo momento storico si rendono necessarie “misure severe”: “Alcune donne non rispettano più l’hijab e non prestano alcuna attenzione agli avvertimenti della polizia, quindi saranno perseguite”, ha annunciato direttamente Mohammadian utilizzando la tv di Stato.

L’hijab è un indumento tradizionale indossato da alcune donne musulmane che copre i capelli, il collo e in alcuni casi anche il petto, lasciando visibili solo il viso e le mani. È un simbolo di modestia e castità nel contesto della cultura e della religione musulmana; mentre lo stile e il modo in cui viene indossato possono variare a seconda delle tradizioni culturali e personali, l’hijab è spesso considerato un’espressione di devozione religiosa e identità culturale per molte donne di quella fede.
Il caso di Mahsa Amini, la giovane ragazza curdo-iraniana che morì il 16 settembre 2022 mentre si trovava in stato di arresto, eseguito proprio per l’uso improprio dell’hijab, ha dato vita in tutto il mondo a proteste di piazza, anche a Teheran. E anche dopo l’annuncio di Mohammadian, molte donne hanno continuato a girare per strada liberamente, senza indossare il velo. Rischiando molto.
Nella Repubblica Islamica dell’Iran l’hijab è obbligatoria dal 1979, tra l’altro per tutte le donne, indipendentemente dal loro credo. Questo aspetto era stato ricordato soltanto pochi giorni fa dalla guida suprema iraniana, l’ayatollah Ali Khamenei, che aveva ribadito gli obblighi di legge in un discorso alla nazione.

Nel Paese si sta discutendo un disegno di legge, sui banchi del Parlamento, dallo scorso 20 settembre, a un anno esatto dalla morte di Mahsa Amini. Soprannominata legge sull’“hijab e castità”, la norma parifica il non indossare il velo all’essere nudi. Ne conseguono pene che possono andare dalla multa all’arresto, inasprendo le pene già previste dal Codice penale islamico. Le “nuove” misure prevedono, in caso di condanna, che le donne vengano private dei servizi sociali, dell’uso dei social network o del diritto di lasciare il Paese. Alcuni “emendamenti” prevedono il blocco dei conti correnti bancari o la perdita del lavoro, per chiunque, comprese celebrità che magari appaiano in pubblico mostrando i capelli. Nello stesso disegno di legge si prevede di usare anche l’intelligenza artificiale, da applicare ai vari sistemi di riconoscimento facciale già, peraltro, in uso alle autorità nei sistemi di controllo alle frontiere. “Questo disegno di legge rappresenta una grave minaccia per i diritti delle donne e delle ragazze in Iran e alimenta la violenza e la discriminazione. Se entrerà in vigore, incrementerà la già soffocante sorveglianza sui loro corpi e il controllo delle loro vite. Questa vicenda conferma quanto le autorità iraniane siano intenzionate a reprimere la determinazione di coloro che osano opporsi a decenni di oppressione e disuguaglianza” ha commentato Diana Eltahawy, vicedirettrice di Amnesty International per il Medio Oriente e l’Africa del Nord.
Intanto, come detto, la polizia procede con l’operazione “Nour”, che significa “luce”. Le proteste si sono levate, specie nella capitale, con la conseguenza di liti e arresti sommari, secondo quanto riferito da alcuni attivisti sui social network. La contestazione giuridica sollevata da più parti è che la legge in questione non sia ancora stata approvata e, pertanto, le azioni della polizia sarebbero ingiustificate.