L’immaginazione può a volte arrivare a diventare idea concreta, persino in un ambito, quello social, in cui tutte le strade sembrano essere state percorse. WeAre8 è una realtà, mista a uno spirito avventuriero e a una sfida etica, in cui la fondatrice Zoe Kalar e il suo team, stanno cercando di applicare alla piattaforma un’ideologia scevra da ogni tentativo di mero profitto e arricchimento personale per inseguire un social in cui non vi siano contenuti tossici, algoritmi dispotici e pubblicità troppo intrusive. Si definisce in modo anche forse troppo retorico, la piattaforma del popolo e lancia un appello sulla propria home page che è un programma politico e una call to action per la mobilitazione delle masse: “I social media sono stati creati originariamente per connettere le persone. Ma ora hanno alimentato un isolamento e una divisione senza precedenti. Hanno danneggiato la democrazia, sfruttato creatori ed editori e privato le persone di valore.

Algoritmi che creano dipendenza, controllano ciò che le persone vedono e come si sentono, forzando più annunci e meno amici nei nostri feed, così i giganti della tecnologia possono fare ancora più soldi. Ciò cha trasformato l’umanità nella più grande forza lavoro inconsapevole e non retribuita della storia umana”. Un vero e proprio cahier de doleance in salsa marxista e con influenze di Sadin e Demichelis circa la sempre più veloce siliconizzazione del mondo e la formazione della società fabbrica. La proposta di WeAre8, piattaforma che dovrebbe vedere il lancio ufficiale a metà anno, è la formazione di “una casa sociale che protegga miliardi di persone da contenuti tossici e algoritmi di controllo e dove tutti possano addirittura trarre dei vantaggi economici”. WeAre8 ha infatti intenzione di dividere gli introiti pubblicitari, con un 40% destinato alla piattaforma e un 50% nel wallet (portafoglio) degli utenti che scelgono, in modo libero e autonomo, di guardare le inserzioni promozionali; il restante 1% andrà invece a supportare attività no profit e in un fondo per pagare i content creator che scelgono di lavorare sulla piattaforma.

WeAre8 si presenta dunque come una rivoluzione social(ista) che potrebbe scompaginare il resto del panorama, grazie alle sue idee innovative, etiche e un approccio eco friendly, in cui l’utente è messo al centro e attorno a lui gravitano contenuti toxic free. Il principio ispiratore di WeAre8 ha dalla sua una base di partenza molto accattivante che, in un momento storico per i social come quello che stiamo vivendo, può attecchire su una buona parte di utenti stanchi dopo tanti anni di bagarre legali e attività poco lecite alle nostre spalle. Sarà curioso vedere come WeAre8 manterrà la sua linea rinunciando a quella parte del profitto che le altre piattaforme usano grazie alle attività degli utenti. Per ora ci basta sapere che vi sia chi ha voluto abbracciare un’etica del bene e non del profitto tout court, che ha voluto usare le piattaforme social per creare un senso di comunità ispirato alla creazione di senso e di rispetto reciproco.