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IL CARNEVALE DI ARLECCHINO – Joan Mirò

Quadro all’apparenza complesso, Il carnevale di Arlecchino  rappresenta una visione dell’artista. Al suo interno compaiono infatti alcuni elementi presi dalla realtà che vengono trasfigurati dall’inconscio fino a diventare indistinguibili al primo colpo d’occhio.

Osservando la tela è possibile identificare un gatto, un pesce, una scala e un tavolo sparsi in maniera casuale sulla superficie. Sullo sfondo si intravede invece una finestra aperta su un paesaggio esterno, da cui è possibile scorgere un triangolo nero . Al centro della composizione Mirò pone un personaggio fantastico, la cui faccia è coperta da una maschera metà rossa e metà blu.

Sono poi presenti molte altre figure ibride, con tratti che le fanno assomigliare a uomini o ad animali. Alcuni oggetti, inoltre, vengono antropomorfizzati mediante l’inserimento di parti anatomiche tipiche del corpo umano. La già citata scala, ad esempio, presenta un occhio e delle orecchie che rendono l’interpretazione da parte di chi osserva ancora più complicata.

In generale, la raffigurazione sembra essere animata dal ritmo della musica e ogni soggetto appare in movimento, probabilmente impegnato in una danza che rende la scena coerente, unitaria e dinamica.

L’opera deve essere inserito all’interno di un corpus di opere più ampio, che l’artista ha realizzato in Francia ispirandosi ai colori e alle atmosfere dell’amata Catalogna. Tutta la serie, infatti, aveva rappresentato per il pittore il banco di prova su cui sperimentare un linguaggio inedito basato sulla nuova tecnica surrealista dell’automatismo psichico.

Al centro di questa incredibile scena ricca di colore c’è una figura che indossa una maschera metà rossa e metà blu.

È Arlecchino, uno dei personaggi più famosi della commedia dell’arte italiana.

Nelle varie rappresentazioni teatrali, Arlecchino è sempre alla ricerca dell’amore ma fallisce sempre.

Molti artisti si rivedono in questo personaggio, soprattutto Miró che sta attraversando un momento difficile in cui ha pochissimi soldi.

Guardando con attenzione puoi notare che il suo Arlecchino ha un buco nel ventre.

Questo dettaglio potrebbe rappresentare la povertà di Arlecchino così come quella di Miró, il quale non poteva permettersi neanche di andare a cena con un amico e quindi il buco potrebbe simboleggiare la fame. Ma questa interpretazione va in contrasto con il resto della scena, in cui tutti gli altri personaggi sono felici e si divertono. La tavolozza usata da Miró gioca sulla contrapposizione tra uno sfondo neutro e una moltitudine di soggetti brillanti che regalano allo spettatore un’atmosfera giocosa e surreale. L’apparenza quasi immatura e fanciullesca nasconde però diversi elementi simbolici che moltiplicano le possibili interpretazioni della scena.

Secondo gli storici dell’arte, la raffigurazione sarebbe un riferimento al Martedì Grasso: una festività cristiano-cattolica celebrata prima del digiuno della Quaresima di Pasqua.

Mirò, liberando la sua fantasia, è riuscito a creare una seconda realtà ugualmente fisica e reale, forse più forte e scioccante di quella reale. Un mondo parallelo al nostro, surreale ed inconscio. E’ riuscito a reinventare oggetti non sottomessi alle leggi morali e ai conformismi sociali fino ad arrivare ad uno stato fluido delle cose: oggetti-simboli, elementi puramente immaginativi, onirici e metafisici. Il quadro richiama mondi infantili e burleschi ma che non vogliono essere una realtà astratta ma una parallela a quella reale, ugualmente reale e concreta. L’artista, infatti, amava ripetere che i suoi mondi proprio perché creati da forme non sono astratti ma sono veri: la forma, per Mirò non è mai astratta, è come un algoritmo matematico, ha cioè un inizio ed una fine. Nel 1938, rievocando questa opera, chiarisce quelli che sono i suoi elementi caratterizzanti, i quali possono essere ritrovati anche in altre tele: la scala indica la fuga dal mondo e l’evasione, gli animali sono quelli che amava e di cui sempre si circondava, il gatto colorato, ad esempio, è un omaggio a quello che aveva sempre con sé quando dipingeva; la sfera nera sulla destra del dipinto simboleggia il globo terrestre, il triangolo che appare dalla finestra evoca la Tour Eiffel e Parigi dove risiedeva in quegli anni. Tutto per Mirò aveva una vita segreta, gli interessava immaginare e raccontare, rappresentare quello che gli altri non consideravano. Egli dava enorme importanza alla pittura infantile perché i bambini non condizionati dalla società, riuscivano ad avvicinarsi più agevolmente al mondo delle fiabe, le vivevano, le assaporavano meglio di quanto potesse fare un adulto. Da qui parte il suo personale cammino artistico degli anni surrealisti che riesce a potenziare fino ad arrivare, negli ultimi anni della sua vita, ad opere completamente astratte. L’amore per l’arte infantile proprio perché svincolata dai tradizionali canoni pittorici lo porta a semplificazioni formali fortemente antinaturalistiche.

Quadro all’apparenza complesso, Il carnevale di Arlecchino  rappresenta una visione dell’artista. Al suo interno compaiono infatti alcuni elementi presi dalla realtà che vengono trasfigurati dall’inconscio fino a diventare indistinguibili al primo colpo d’occhio.

Osservando la tela è possibile identificare un gatto, un pesce, una scala e un tavolo sparsi in maniera casuale sulla superficie. Sullo sfondo si intravede invece una finestra aperta su un paesaggio esterno, da cui è possibile scorgere un triangolo nero . Al centro della composizione Mirò pone un personaggio fantastico, la cui faccia è coperta da una maschera metà rossa e metà blu.

Sono poi presenti molte altre figure ibride, con tratti che le fanno assomigliare a uomini o ad animali. Alcuni oggetti, inoltre, vengono antropomorfizzati mediante l’inserimento di parti anatomiche tipiche del corpo umano. La già citata scala, ad esempio, presenta un occhio e delle orecchie che rendono l’interpretazione da parte di chi osserva ancora più complicata.

In generale, la raffigurazione sembra essere animata dal ritmo della musica e ogni soggetto appare in movimento, probabilmente impegnato in una danza che rende la scena coerente, unitaria e dinamica.

L’opera deve essere inserito all’interno di un corpus di opere più ampio, che l’artista ha realizzato in Francia ispirandosi ai colori e alle atmosfere dell’amata Catalogna. Tutta la serie, infatti, aveva rappresentato per il pittore il banco di prova su cui sperimentare un linguaggio inedito basato sulla nuova tecnica surrealista dell’automatismo psichico.

Al centro di questa incredibile scena ricca di colore c’è una figura che indossa una maschera metà rossa e metà blu.

È Arlecchino, uno dei personaggi più famosi della commedia dell’arte italiana.

Nelle varie rappresentazioni teatrali, Arlecchino è sempre alla ricerca dell’amore ma fallisce sempre.

Molti artisti si rivedono in questo personaggio, soprattutto Miró che sta attraversando un momento difficile in cui ha pochissimi soldi.

Guardando con attenzione puoi notare che il suo Arlecchino ha un buco nel ventre.

Questo dettaglio potrebbe rappresentare la povertà di Arlecchino così come quella di Miró, il quale non poteva permettersi neanche di andare a cena con un amico e quindi il buco potrebbe simboleggiare la fame. Ma questa interpretazione va in contrasto con il resto della scena, in cui tutti gli altri personaggi sono felici e si divertono. La tavolozza usata da Miró gioca sulla contrapposizione tra uno sfondo neutro e una moltitudine di soggetti brillanti che regalano allo spettatore un’atmosfera giocosa e surreale. L’apparenza quasi immatura e fanciullesca nasconde però diversi elementi simbolici che moltiplicano le possibili interpretazioni della scena.

Secondo gli storici dell’arte, la raffigurazione sarebbe un riferimento al Martedì Grasso: una festività cristiano-cattolica celebrata prima del digiuno della Quaresima di Pasqua.

Mirò, liberando la sua fantasia, è riuscito a creare una seconda realtà ugualmente fisica e reale, forse più forte e scioccante di quella reale. Un mondo parallelo al nostro, surreale ed inconscio. E’ riuscito a reinventare oggetti non sottomessi alle leggi morali e ai conformismi sociali fino ad arrivare ad uno stato fluido delle cose: oggetti-simboli, elementi puramente immaginativi, onirici e metafisici. Il quadro richiama mondi infantili e burleschi ma che non vogliono essere una realtà astratta ma una parallela a quella reale, ugualmente reale e concreta. L’artista, infatti, amava ripetere che i suoi mondi proprio perché creati da forme non sono astratti ma sono veri: la forma, per Mirò non è mai astratta, è come un algoritmo matematico, ha cioè un inizio ed una fine. Nel 1938, rievocando questa opera, chiarisce quelli che sono i suoi elementi caratterizzanti, i quali possono essere ritrovati anche in altre tele: la scala indica la fuga dal mondo e l’evasione, gli animali sono quelli che amava e di cui sempre si circondava, il gatto colorato, ad esempio, è un omaggio a quello che aveva sempre con sé quando dipingeva; la sfera nera sulla destra del dipinto simboleggia il globo terrestre, il triangolo che appare dalla finestra evoca la Tour Eiffel e Parigi dove risiedeva in quegli anni. Tutto per Mirò aveva una vita segreta, gli interessava immaginare e raccontare, rappresentare quello che gli altri non consideravano. Egli dava enorme importanza alla pittura infantile perché i bambini non condizionati dalla società, riuscivano ad avvicinarsi più agevolmente al mondo delle fiabe, le vivevano, le assaporavano meglio di quanto potesse fare un adulto. Da qui parte il suo personale cammino artistico degli anni surrealisti che riesce a potenziare fino ad arrivare, negli ultimi anni della sua vita, ad opere completamente astratte. L’amore per l’arte infantile proprio perché svincolata dai tradizionali canoni pittorici lo porta a semplificazioni formali fortemente antinaturalistiche.

Data:

26 Febbraio 2025

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