Nello Yemen, da qualche giorno, il cessate il fuoco ha silenziato i boati della guerra. Tregua tra i sauditi a capo della coalizione anti Houthi e i ribelli sciiti sostenuti dall’Iran. La sospensione delle ostilità dovrebbe portare gli Houthi, di fede sciita zaydita, al riconoscimento del governo guidato dal presidente sunnita Hadi.Se rispettato, l’accordo sostenuto dalle Nazioni Unite costituirebbe una svolta per i negoziati di pace che si apriranno in Kuwait il prossimo 18 aprile, ponendo fine a una delle più gravi e silenziose emergenze umanitarie in Medio Oriente.
La guerra in Yemen inizia ufficialmente la notte tra il 25 e il 26 marzo 2015 quando alcuni aerei, guidati dalla coalizione araba, bombardano le postazioni dei ribelli, vicino Riad. Non scoppia dal nulla.Nel dicembre 2010 l’aumento vertiginoso dei prezzi e la corruzione dilagante accendono, in diversi paesi del Medio Oriente, rivolte contro i regimi al governo.
Il popolo non può permettersi il cibo. Lo Yemen è piegato dalla povertà. Il lavoro manca. Cova il virus jihadista nelle province di Shabwa, Maria e Jaw. Crescono i miliziani zayditi del nord. Il Paese, che definisce Saleh sottomesso al volere americano, invocandone a gran voce le dimissioni, è travolto da un’ondata di violenza che semina feriti e morti. Le lotte intestine assumono sempre più spessore. I ribelli sciiti del nord e le forze separatiste del sud chiedono una più equa partecipazione politica. La rivolta popolare nel contempo è tale da gettare lo Yemen in uno stato di disordine mai visto prima.
Sotto i colpi della Primavera Araba, Saleh, aiutato dalla spinta mediatrice del Consiglio di Cooperazione del Golfo, firma davanti al re saudita Abdallah, la “resa”. Si tratta in realtà di un accordo per il passaggio dei poteri al numero due del Governo, il vice presidente Abed Rabbo Mansour Hadi, in cambio dell’immunità. È il 23 novembre del 2011 e la notizia è battuta dalle principali agenzie di stampa pochi minuti dopo le 17,00. A Saleh è concesso di restare a Sana’a dove continua a dirigere il suo partito e a gestire questioni istituzionali e militari, attraverso uomini fedeli che occupano posizioni chiave. Hadi che aveva promesso di includere nel governo rappresentanti dei gruppi discriminati dal suo predecessore, ci ripensa e preferisce avviare una stretta collaborazione con gli Stati Uniti nella lotta contro Al Qaida e i dissidenti sciiti. A Houthi e Islah non resta che stringere un’alleanza con l’ex presidente, dimenticando le campagne oppressive iniziate nel 2004 a loro danno.
Per usare le parole dell’analista Iona Craig, questo passaggio va inquadrato come un “matrimonio di convenienza”, assolutamente transitorio dal quale gli Houthi hanno tratto una rapida affermazione al sud, grazie anche al sostegno delle Guardie Rivoluzionarie Iraniane che, secondo alcune indiscrezioni, si sarebbero occupate del loro addestramento militare. È probabile che l’artefice della mediazione sia stato Saleh. È evidente che senza un adeguato apporto, anche finanziario, i miliziani non avrebbero potuto fare molta strada.
Il 21 settembre 2014, sotto la guida dell’Imam Abdel Malik al Houthi, assumono il controllo di Sana’a, costringendo i sostenitori di Hadi, contestualmente deposto, a rifugiarsi nella città di Aden, nel sud ovest del Paese. È stato Hadi, che per la comunità internazionale non è mai caduto, a chiedere all’alleato saudita di avviare i raid aerei sulle postazioni dei ribelli in quella lunga notte tra il 25 e il 26 marzo dello scorso anno a Riad. All’Arabia si uniscono Egitto, Giordania, Emirati arabi, Kuwait, Qatar, Bahrein, Marocco e Sudan.
Il principale motivo dell’intervento saudita va ricercato nella sicurezza. Nell’Oriente arabo vive una minoranza sciita che periodicamente sfida il potere della monarchia sunnita. Un focolaio zaydita nel confinante Yemen è troppo rischioso.Determinante nel gioco delle coalizioni, il presidente egiziano Abdel Fattah al Sisi che ha stretto con la monarchia islamica una solida alleanza finanziaria e militare.È grazie al sostegno arabo che l’Egitto potrà avviare opere strutturali tali da renderlo, già ora, appetibile agli investitori esteri, desiderosi di scippare all’Italia il titolo di primo partner commerciale.
Gli interessi in questa guerra sono molteplici e si intersecano ai danni di migliaia di vittime civili, tra cui donne e bambini straziati dalla fame. Se da un lato l’Egitto non può e non vuole sfilarsi dalla coalizione araba, dall’altro Arabia e Iran si contendono il controllo di uno stato che, seppur “fallito”, gode di una posizione geografica ottimale per il controllo dello stretto di Bab el Mandeb.
Il tratto di acque che collega il Mar Rosso al Golfo di Aden costituisce una via importantissima per gli scambi commerciali, petrolio incluso. La provincia di Hadramawt è inoltre ricca di giacimenti di idrocarburi che, con l’apporto estero di giusta tecnologia, potrebbero ribaltare l’economia del Paese. Ma ad ostacolare qualsiasi possibile mira occidentale, interna o asiatica che sia, c’è Al Qaida.
AQAP, così si chiama localmente, ha il possesso di alcuni territori nel sud e continua ad avanzare. L’ultima città asserragliata è Azzan nella provincia di Shabwa, strategica per la sua posizione lungo la strada principale che collega Ataq a Mukalla, capoluogo della provincia di Hadramawt di cui le forze jihadiste controllano il porto.Sotto assedio, ormai da diversi mesi, sono anche Zinjibar, capoluogo della provincia Abyan e Jaar nel distretto di Khanfyr. La guerra ha favorito l’avanzata di AQAP che è divenuta la divisione più potente di tutta Al Qaida.
Si ricordi che fu proprio l’organizzazione a rivendicare l’attentato contro la sede del settimanale satirico Charlie Hebdo a Parigi. È contro tutti: Houthi, Hadi e persino l’ISIS che nello Yemen ha i suoi avamposti, spesso occulti. Il cessate il fuoco è arrivato mentre Sana’a è ancora sotto il controllo degli sciiti Houthi e il governo del presidente Hadi è a Aden, il cui aeroporto è stato da poco riaperto ai voli commerciali. In un Paese piegato dalla carestia, che ha seppellito più di 9 mila morti, la pace è una speranza di molti, affidata al buon senso di pochi.