La race for the cure festeggia a Bari la sua undicesima edizione. Da venerdì 26 fino a domenica 28 maggio sarà il capoluogo pugliese con il suo suggestivo lungomare a fare da palcoscenico ad un evento entrato oramai a buon titolo tra gli appuntamenti di maggior richiamo per chi ha a cuore la prevenzione ed il benessere fisico in un contesto di sport e svago. La manifestazione nata negli Stati Uniti nel 1982 si rappresenta in tutto il mondo. In Italia le tappe interessano le città di Roma, Bari, Bologna e Brescia.La manifestazione si articola in tre giorni di massima sensibilizzazione alla prevenzione dei tumori al seno e ad altre patologie. Il tutto si svolge in un contesto di attività ludiche, di benessere e sport. La tradizionale corsa di 5 Km. di domenica 28 maggio e la passeggiata di 2 km. chiuderanno la manifestazione con un simbolico arrivo ex equo di tutti i partecipanti. La vittoria, quando si sconfigge il male, è di tutti.
Con noi c’è il prof. Vincenzo Lattanzio, Presidente del Comitato Regionale Puglia della Susan G. Komen Italia.
Professore, la Race for the cure – organizzata dalla Susan G. Komen Italia – è la manifestazione che ha il grande merito di aver modificato l’approccio alla malattia. Un esercito di donne, ogni anno, sceglie di abbinare la prevenzione ad una salutare corsa con la consapevolezza che il segreto del successo è “non abbassare la guardia”. L’obiettivo di non temere la prevenzione ma di andarle incontro con una corsa è quindi centrato?
Assolutamente si, perché penso che sia la sintesi più diretta del messaggio che vogliamo dare. Se è vero che talvolta la malattia rappresenta un simulacro di morte, la corsa è la semplificazione più diretta della vita, in sintesi la vita che prende il sopravvento sulla morte.
Le attività proposte nel “Villaggio Race” sono molteplici. Prevenzione, salute, benessere, ma anche attività didattiche e ludiche per bambini. Riassumendo è una tre giorni che coinvolge tutta la famiglia. È anche questo il segreto dell’enorme risposta partecipativa?
Certo! Sappiamo bene che la malattia colpisce la donna non solo nella sua individualità ma con dinamiche che coinvolgono tutta la famiglia. Durante il, si spera, breve percorso della malattia, viene messo a dura prova tutto il nucleo famigliare. Ecco perché la formula ideata negli anni ’80 dalla Komen, pur nella sua semplicità, risulta assolutamente vincente. Il primo obiettivo è la sensibilizzazione, abbandonare i pregiudizi di quando la malattia era vissuta come un tabù, quindi parlarne è il primo passo verso il successo sulla malattia che è testimoniato nella manifestazione dalle “donne in rosa”. Chi meglio può testimoniare che di cancro non si muore ma anzi si deve trarre dall’esperienza un’occasione di rinascita. La mia testimonianza di donne che ce l’hanno fatta parla di donne che si sentono diverse che concepiscono la loro vita in una chiave di rinnovamento e con una ritrovata consapevolezza. Questo è il significato più semplice dell’attività della Komen e racchiude il senso della partecipazione di amici e parenti. La stessa empatia è difficile da creare in altre situazioni. L’aver accostato il concetto di morte ad una festa di sport e attività ludiche è una formula vincente. L’importante è sensibilizzare ad un approccio sereno all’attività di anticipazione diagnostica che proponiamo in quanto è così che si gettano le basi della prevenzione, anticipando cioè di molto la diagnosi. Durante i tre giorni, un numero di donne particolarmente disagiate, segnalate dai servizi sociali del Comune di Bari, saranno sottoposte a dei controlli accurati a testimonianza di quanto è possibile fare con concretezza. Inoltre mettiamo in campo la competenza di specialisti che durante i seminari, con un approccio semplice ed adeguato, forniranno preziosi consigli, informazioni e suggerimenti.
Parliamo di prevenzione. Sappiamo quanto una sana alimentazione e un corretto stile di vita siano importanti per contrastare l’insorgenza di determinate patologie. Per i tumori come quello del seno, che hanno una comprovata incidenza ereditaria, valgono le stesse regole o quanto predisposto dalla natura non è in alcun modo modificabile?
La ringrazio per questa domanda. Il concetto di predisposizione genetica, che è un concetto che ha assunto particolare rilievo negli ultimi anni, non deve indurre a drammatizzare il problema. Per intanto bisogna dire che oggi le linee di pensiero nella comunità scientifica non viaggiano sulla stessa linea di pensiero. E’ bene che le donne capiscano che la predisposizione genetica non è una condanna certa. In presenza di test BRCA1 e BRCA2 positivi si evidenzia la problematica di alcuni geni che potrebbero esprimere la malattia, ma la probabilità che ciò accada ha bisogno che quel gene, con quelle caratteristiche alterate abbia la potenza reale di provocare il danno. La scienza non ha essa stessa un’atteggiamento chiarissimo sull’argomento, pertanto parte degli addetti ai lavori, a fronte di un gene predisponente arriva a suggerire una mastectomia profilattica bilaterale che non è uno scherzo. Fare una mastectomia di default a mio avviso non è condivisibile in quanto ci sono tutta una serie di controlli che se fatti con regolarità, ci consentono di restare in attesa. Il rischio è quello di vanificare quanto efficacemente realizzato, un edificio virtuoso di diagnosi precoci, interventi limitati, ricostruzioni plastiche per un un pieno recupero della identità femminile, assistenza psicologica di supporto, tutto paradossalmente stralciato da una mastectomia che è un’intervento di non ritorno che modifica profondamente la persona. I carcinomi geneticamente predisposti sono più precoci pertanto c’è tutto il tempo per tenerli a bada restando in attesa e facendo i dovuti controlli periodici. Difronte ad una diagnosi di carcinoma bisogna restare con i piedi per terra in quanto oggi ci sono possibilità che vent’anni fa erano impossibili. Un tempo si parlava di diagnosi precoce in presenza di noduli di 2 cm circa, oggi parliamo di cinque-sei o addirittura quattro millimetri. Quindi fiducia e calma.
I protocolli di cura sono standardizzati o sono invece personalizzati in base all’anamnesi del paziente?
Quando sono invitato a conferenze di largo respiro per numero di partecipanti e per competenze tecniche dico sempre che oggi c’è una sorta di paradosso tra quelle che sono le potenzialità diagnostiche e terapeutiche che sono praticamente illimitate se espresse sull’individuo e l’applicazione invece sulla popolazione, quindi su larga scala. Quando noi mettiamo in campo il meglio della metodologia congiuntamente alla tecnologia ed al meglio della professionalità, direi che oggi la diagnosi può errare nel 5-8-10% dei casi, tenga conto che il tasso di falsi negativi accettato nelle statistiche mondiali è del 15%, quindi significa che 8,5 su 10 noi siamo in grado di centrare la diagnosi. Pertanto, se a livello di individuo abbiamo tutti gli elementi che ci servono, il problema è quello di traslare le possibilità della diagnosi individuale sul pubblico nella sua totalità. Un punto cardine che vorrei esprimere è che oggi in senologia noi rivolgiamo i nostri controlli a donne asintomatiche, peculiarità questa che non hanno altre branche della medicina, affinchè si attivino tutti gli strumenti di prevenzione per fare in modo che non si arrivi allo stadio di malattia conclamata. Questo è il cosìdetto programma di screening con cui ci assumiamo la responsabilità di invitare donne sane a fare controlli salvavita. Il lavoro di screening però per funzionare ha bisogno che in tutti i suoi passaggi venga monitorato con controlli intransigenti. In quasi tutta l’Italia dagli anni ’70 ci sono programmi di screening ma, da tecnico, dico che asserire che la qualità di questi screening sia al di sopra di ogni sospetto è tutto da dimostrare. Pertanto i programmi di screening della sanità pubblica necessitano di controllo di terze parti perché un meccanismo di tale portata deve essere certificato in termini di qualità in ogni passaggio ed in maniera inequivocabile.
Si potrà avverare un giorno non lontano il sogno che la ricerca ci conduca alla realizzazione di un vaccino come accaduto per l’HPV, il Papillomavirus?
Se parliamo di sogno non mi sento di dirle di no ma al momento stiamo andando in altre direzioni in attesa di tirare dal cilindro qualcosa di simile. Certo se trovassimo un bel virus causa principale del cancro…….ma non ci siamo ancora!
Con i fondi raccolti la “Komen Italia” avvierà nuovi progetti di educazione prevenzione e cura del tumore al seno, progetti che si andranno ad aggiungere ai quasi 351 già realizzati grazie alle precedenti edizioni di Roma-Bari-Bologna-Brescia con l’impiego di 2.700.000 euro. Per linea di principio la Komen realizza progetti sul territorio di raccolta dei fondi. Il 1° gennaio sono partiti a Bari, per esempio, due progetti con il ricavato della manifestazione del 2016. Attraverso quali canali informativi rendete partecipi le donne delle iniziative di cui possono beneficiare?
Il nostro sito (www.racebari.it) è una finestra aperta e costantemente aggiornata sui bandi di concorso. Cerchiamo di dare un’informazione il più puntuale possibile e sul sito troverete tutte le iniziative. Una delle prerogative della Komen è cercare di promuovere progetti nella massima trasparenza e per far questo vengono messi in atto una serie di controlli semestrali. Ma l’obiettivo che maggiormente ci prefissiamo è quello di investire in progetti di sicura efficacia e purtroppo non sempre è semplice centrare in questo, anche perché, proprio per osservare criteri di trasparenza, i soldi devono essere investiti nel breve periodo. Il progetto per esempio “Ricomincio da me” per donne che a causa della malattia avevano perso il lavoro, è stato di un successo entusiasmante. Attraverso percorsi formativi altamente professionalizzanti. Le donne che vi hanno partecipato hanno ricevuto strumenti per diventare imprenditrici autonome. Il fatto che investiamo solo nei progetti di comprovata utilità ci da molta credibilità tant’è che non abbiamo mai perso uno sponsor, semmai aumentano le offerte. Sarebbe bello fare di più…..ma occorrono le idee ed i progetti vincenti.
Facciamo un’esercizio. In questo preciso istante una donna eseguendo un autopalpazione si accorge di avere una pallina sospetta, cosa si sente di dirle?
Il primo messaggio fortissimo che voglio dare è: donne, calma e gesso! L’80% dei noduli che palpiamo è benigno quindi non lasciarsi mai sopraffare dalle emozioni e dallo sconforto. Pensare che dal tumore non si può guarire è un crimine verso se stessi. Secondo messaggio, considerando che la biologia del cancro alla mammella è relativamente lenta se confrontata all’aggressività di certe forme tumorali, bisogna mettersi alla ricerca della struttura a cui rivolgersi per seguire i percorsi diagnostici più affidabili. Devo purtroppo constatare che la nostra regione ha perso la prerogativa di eccellenza senologica nazionale che poteva vantare fino al 2012. Da qualche tempo direi, da operatore sanitario, che la senologia pubblica non va come dovrebbe e anche qui non comprendo perché le istituzioni preposte, pur avendone testimonianza, di tali eccellenze in parte ha consentito che se ne distruggesse qualcuna, dall’altra non cerchino contatti con realtà che potrebbero fare solo bene in un confronto operativo.
Il Professor Lattanzio riferisce con orgoglio di come il vero successo della manifestazione sia rappresentato dalle “donne in rosa”, testimoni del trionfo della vita sulla malattia. La presenza di queste forze della natura è ancora più incisiva considerando il loro impegno in favore di altre donne che ancora stanno combattendo contro il male.
A fine manifestazione, in cielo voleranno tanti palloncini, anch’essi rosa, in memoria di chi non ce l’ha fatta. A noi un compito importante, quello di educare le future generazioni ad una prevenzione consapevole. Perché il nostro obiettivo è scrutare un cielo sempre più blu, libero da quei palloncini.